Ieri, intorno alle 19 circa, il Consiglio dei Ministri riunito a Palazzo Chigi al cospetto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella III di Savoia ha posto la parola fine a quella che qualcuno chiama ancora democrazia. Il 4 aprile 2025 è una di quelle date che finirà nei libri di storia un giorno, e quando la gente si chiederà “ma come è stato possibile?” ricordiamoci degli spritz che abbiamo bevuto ieri sera.
Sia chiaro che quella italiana è sempre stata una democrazia zoppa, in cui la possibilità concreta del “popolo” di scegliere liberamente i propri rappresentanti è sempre stata subordinata alle necessità politiche e militari di altri – il piano Marshall, la dottrina Truman, la Strategia della tensione e la Guerra Fredda non sono fantasie del complotto, ma realtà storiche ben documentate.
È poco utile, ormai, appiccicare l’aggettivo fascista qua e là come fosse prezzemolo, come se non ci fosse una co-responsabilità e una continuità di intenti tra le formazioni liberali (o liberiste, non fa molta differenza), governi tecnici (come se fosse un aggettivo ideologicamente neutro) e quelle più esplicitamente di estrema destra (parlamentari e non). È molto facile puntare il ditino e prendersela sempre e solo con “i fascisti”, e ora che sembrano dappertutto risultano un nemico comodo.
Quanto successo ieri è la dimostrazione evidente che le meccaniche del regime democratico – quella strana idea per cui possano coesistere e collaborare identità politiche antagoniste all’interno di un’arena in cui questo conflitto è regolamentato e non-violento – sono illusorie e truccate in favore di coloro che per primi le hanno pensate ed organizzate. Indovinate un po’ chi sono questi coloro.
La storia della conflittualità sociale dimostra ampiamente che ogni singolo “diritto” esiste e ha dimensione di concretezza solo quando quelle meccaniche (difese anche dal monopolio “legittimo” della violenza da parte dello stato) vengono messe in discussione da pressioni esterne altre e costantemente.
Anche avessimo una minima fiducia nei processi, nei ruoli e nelle figure del sistema (cosa che noi chiaramente non abbiamo mai avuto), quanto successo ieri dimostra che l’idea democratica semplicemente non funziona – è un gioco di prestigio, un’illusione, una truffa. Un provvedimento problematico incastrato nel processo democratico ecco che nel giro di neanche 24 passa da bloccato ad applicato nell’immediato: la burocrazia non solo è un sistema lento, inefficace, pesante e “incapace di correggersi in funzione dei proprie errori” ma è un tassello fondamentale dell’autoritarismo e del dominio che protegge se stesso e si amplia.
Per farla breve, non avete anche voi l’impressione che da un po’ troppo tempo la discussione politica pubblica si occupi di questioni, per modi e argomenti, lontani anni luce dalle cose che ci premono davvero? Non c’è un solo tema, pure prendendolo a caso delle nostre quotidianità, che se analizzato minimamente non risulti problematico.
Vogliamo continuare a protestare e lagnarci? Con l’idea che facendo abbastanza rumore qualcuno in quei palazzi quantomeno dica: ah ok raga va bene avete ragione ora vediamo che si può fare.
E se non c’è nessuno che lo dice? Facciamo un bel partito che se anche arrivasse ad essere il corpo democratico d’opposizione più consistente e rilevante comunque verrebbe aggirato con trucchetti tipo quelli di ieri per ogni cosa rilevante.
E se invece facessimo qualcosa di completamente diverso? Tipo auto-organizzarci al di fuori e contro ogni istituzione, costruissimo le nostre economie sulla nostra idea di ricchezza, le nostre scuole sulla nostra idea di educazione, i nostri ospedali sulla nostra idea di salute, le nostre relazioni sulla nostra idea di comunità ecc… rifiutando del tutto lo stato, le burocrazie (che pure il movimento adora), la delega, lo spettacolo e la pacificazione…
Quanto può essere faticoso tutto questo rispetto alla sofferenze delle norma-lizzazione dei nostri dolori e oppressioni? Quanto può essere doloroso impegnarci in dei processi di rivoluzione interna rispetto all’aspettare che accada magicamente qualcosa di sconvolgente? Quanto può essere faticoso imparare ad imparare?Probabilmente la risposta a queste tre domande è: molto! Ed è per questo motivo che re-imparare da capo attraverso la pratica cosa siano davvero cura e comunità è l’unico modo in cui possiamo provare a “fare in modo che quello che non ci piace, non accada più”.
Se impariamo a prenderci cura di noi, a costruire relazioni forti nonostante tutto il veleno che le mortifica, ad agire sulle contraddizioni delle nostre vite, a collaborare destreggiandoci tra le difficoltà e nelle differenze, quale repressione potrai mai fermarci una volta che avremo capito che sappiamo non solo auto-difenderci, ma anche auto-guarirci e prosperare senza di loro?
Le cose che è necessario aver imparato per farle, è facendole che le si impara.
Qualche spunto di lettura in merito:
- Fa’ che questo ti radicalizzi: organizzarsi e la rivoluzione della cura reciproca. Di Mariame Kaba e Kelly Hayes (libro)
- POD: gli elementi costitutivi della giustizia trasformativa e della cura collettiva. Di Mia Mingus, (opuscolo)
- Guerra sociale, tensione antisociale. Di Josep Gardenyes (opuscolo)
- War In The Neighborhood. Di Seth Tobocman (graphic novel)
- Terror Incognita. Di CrimethInc (opuscolo)
- Be Gay Do Crime – un’introduzione. Di Mary Nardini gang (opuscolo)
- La militanza, il più alto stadio dell'alienazione. Di Organisation des Jeunes Travailleurs Révolutionnaires (opuscolo)
SPOILER: il prossimo libro battente bandiera Robin Book sarà No Spiritual Surrender (2023) di Klee Benally. Se la cosa ti intriga e vuoi dare una mano nella traduzione scrivici a robinbookgang@gmail.com che ci organizziamo.
“Per alcune persone, trovare il tempo per leggere e imparare può essere difficile. Se hai un’abitudine che stai cercando di ridurre, come il doomscrolling, potresti iniziare sostituendo intenzionalmente parte del tempo che dedichi a quell’attività con un audiolibro o un ebook sul telefono. Incoraggiamo gli attivisti a dedicare più tempo ai libri e ad altre forme di apprendimento, non come ammonimento (dopotutto, stai leggendo proprio ora), ma per spronarti a rivendicare un’eredità di conoscenza che i tuoi oppressori sperano tu non scopra, abbracci o utilizzi mai—le storie, la saggezza, la speranza e le immaginazioni degli attivisti che ci hanno preceduto.
Se non sai da dove iniziare, ti consigliamo di partire dalle parole o dalle idee che hanno già avuto un impatto su di te. Come esercizio, scegli una citazione che ha avuto una forte influenza sulle tue idee politiche. Scrivila. Ora analizziamone il contesto. Quale ingiustizia veniva contestata? Cosa voleva ottenere più immediatamente la persona che ha pronunciato quelle parole? Si trattava di una dichiarazione alla stampa, di una frase estratta da un discorso o da un libro, o di un commento fatto a un amico? Era una lettera scritta dal carcere? Chi era il presidente degli Stati Uniti quando queste parole furono pronunciate? Com’era la situazione economica? Chi potrebbe aver contestato questa citazione all’epoca, sia all'interno che all'esterno dei movimenti sociali? Se la citazione proviene da un libro, lo hai letto? Se no, è possibile che queste parole ti stiano chiamando a un percorso di scoperta?” – tratto da Fa che questo ti radicalizzi, cap. 4
Fonte: RobinBook